Chiunque voglia partecipare alla discussione può mandare una email con testo, immagini, suoni a: press@containerart.it.






Costanza Meli [Palermo]. Ideatrice e Curatrice del progetto.

22 novembre 2004

Isole è un progetto d’arte contemporanea e cultura del territorio che si articola come un laboratorio di ricerca sulle tematiche legate al Mediterraneo considerato sia come area di provenienza degli artisti che come contesto geografico e culturale sul quale riflettere ed intervenire.

Il titolo stesso indica il simbolo dell’intera manifestazione: l’isola rappresenta infatti un’indicazione geografica e metaforica. Isola delle Femmine è il nome del comune che ospita le mostre e che promuove le attività, ma è anche la condizione culturale di ogni partecipante, il punto di partenza, la città da cui ciascun artista si muove portando con sé la propria dimensione creativa.

Roma, Napoli, Palermo, Il Cairo sono isole che si incontrano in Sicilia e che si confrontano in una Biblioteca sul mare, fulcro della manifestazione: sono grandi realtà che confluiscono in un piccolo centro urbano e marittimo per avviare un percorso comune.



Il progetto Isole consta di due parti legate tra loro: laboratorio e rassegna d’arti contemporanee. Si tratta, all’interno della stessa operazione, di due fasi diverse che si presuppongono a vicenda.

Il laboratorio si propone di studiare le tematiche stesse della rassegna che si svolgerà nei mesi estivi attraverso iniziative periodiche (nella primavera 2005) che avranno il carattere di incontri tra gli artisti e tra questi e il pubblico:

1) Seminari o dibattiti sui temi dell’arte contemporanea attinenti alla ricerca avviata dal comitato curatoriale;

2) Giornate di lettura.

3) Incontri con le scuole locali e palermitane.

4) Incontri tra gli artisti e gli studenti dell’Accademia di belle arti e del DAMS.

5) Escursioni nel territorio comprendente i comuni di Isola Torretta e Capaci.

6) Ricerche sugli aspetti naturalistici e geologici del territorio che si vuole valorizzare.

7) Seminari in biblioteca sul management artistico e l’organizzazioni di eventi culturali.

Tali appuntamenti hanno lo scopo di mantenere i contatti tra i partecipanti del gruppo che dà vita al progetto consentendo loro di riunirsi presso i locali della Biblioteca in una fase creativa che porti alla realizzazione delle opere e delle performances da esporre o eseguire nella rassegna finale.

la rassegna che nei mesi di giugno e luglio, infine, rappresenterà il culmine del progetto con:

4 mostre durante le quali, lavorando in coppia, gli artisti del gruppo esporranno i propri lavori sovrapponendoli alle superfici disponibili e intrecciandoli con il luogo precedentemente studiato e conosciuto. L’idea centrale è quella di una sperimentazione espressiva, site specific, che parta dalla realtà contestuale per giungere alla proposta di una lettura diversa che coniughi l’esperienza e la ricerca tematica svolta. La tematica dell’isola caratterizzerà ciascun intervento insistendo su di una riflessione

La Biblioteca, in tal senso, si troverà a rivestire un ruolo importante nel territorio provinciale di Palermo così come in tutto il bacino del Mediterraneo interessato dall’evento, raccogliendo le istanze di un pubblico colto che potrà finalmente interessarsi alla realtà di Isola delle femmine e ai territori vicini che saranno interessati da escursioni e da installazioni artistiche che richiameranno quelle esposte in sede. Si tratta di un contesto vivo e ricco: un nuovo riferimento per l’arte giovane vicinissimo la città.






Costanza Meli [Palermo]. Ideatrice e Curatrice del progetto.

24 novembre 2004

L’arte contemporanea non può più considerarsi un evento, né trova la propria dimensione spazio-temporale, ma soprattutto comunicativa, all’interno di un’opera. Ciò che il gruppo Isole vuole proporre è un’interpretazione del fare artistico come una pratica discorsiva: anche un’estetica, infatti, si può oggi realizzare in un discorso, può nascere da un dialogo e articolarsi come un racconto. È questo che si intende per condivisione: la messa in comune di un’idea, la costruzione di un fare che unisca, che realizzi la dimensione del con, che articoli individualità diverse unite dalla stessa narrazione. Fare arte vuol dire mettere in campo forme e contenuti, perché, dunque accontentarsi di depositarli al suolo? L’intento della rassegna non è quello di esporre pezzi d’arte elaborati chissà quando e realizzati chissà dove, ma è proprio il contrario: seguire mediante il laboratorio, il processo che porta alla realizzazione, impostarlo attraverso il confronto, svolgerlo seguendo l’evolversi della riflessione. Il tema centrale della rassegna e del laboratorio che la precede, è quello dello spazio, di uno spazio particolare, il Mediterraneo, considerato frequentemente come area geografica caratterizzata dalla compresenza di culture e linguaggi diversi che storicamente hanno coesistito all’ombra di grandi poteri politici. Il Mediterraneo, per noi è piuttosto uno spazio – contesto, il luogo delle nostre esistenze, un ambiente da attraversare, il punto di sosta, oggi, che ci consente di scambiare le nostre esperienze. Gli artisti di Isole, infatti, abitano il medesimo territorio, provengono da città che si affacciano sul mare e si confrontano oggi con tale dimensione che li accomuna e li stimola ad intervenire in modo creativo.

Si tratterà infatti di interventi site specific che andranno ad innestarsi sulla realtà di un luogo che, ancora poco connotato, assumerà, alla fine l’aspetto dell’intera elaborazione: sarà un contesto di relazioni (umane) e di interazioni (con le opere o performances). La ricerca sulla natura dei luoghi, sulla loro capacità di ospitare e di modificarsi al tempo stesso, caratterizza il percorso dei singoli membri del gruppo da molto tempo e ne ha determinato l’unione. Conoscere uno spazio è infatti un obbiettivo tutt’altro che semplice da raggiungere, comporta la volontà di scoprire e la capacità di leggere. Lo spazio-contesto della biblioteca e delle sue terrazze a mare è ricco di implicazioni ambientali, storiche, culturali di notevole interesse: basti pensare che due dimensioni come quella del chiuso (accogliente) e del totalmente aperto (il mare e la montagna si fronteggiano con una rilevante forza suggestiva) sono qui compresenti e impongono un’attenzione particolare a chi si ponga a confronto con il paesaggio per potervi intervenire. Quella del site specific è stato negli ultimi decenni di interventi artistici, una modalità, una scelta che ha consentito di vivere l’arte come una forma di lettura del mondo o della sua piccola porzione presa in considerazione, di volta in volta; il gruppo di Isole si propone, qui di approfondire tale modalità, considerando il contesto di azione prima di tutto come un testo da leggere. Leggere una biblioteca può essere compatibile con una lettura del paesaggio circostante? Dei suoi colori e rumori? Anche il contrasto tra silenzio e fragore sembra, qui, sfidare chi si metta alla ricerca di un senso, eppure non si può negare che si tratti di uno stimolo interessante. Attraverso pittura, audio e video-installazioni, performances, sarà proposta al pubblico una lettura dello spazio, frutto di un laboratorio che ha visto tutti confrontarsi con l’ipotesi che l’arte possa essere nient’altro che la messa in atto dei nostri discorsi.






Costanza Meli [Palermo]. Ideatrice e Curatrice del progetto.

09 dicembre 2004

[...] Non so se si capisce bene com'è fatto questo posto ma vi assicuro che una biblioteca sul mare è molto suggestiva e poi si lavorerà in laboratorio, sui concetti di spazio e di contesto. Pensate che c'è il mare, l'isola da intendere come fulcro di un moto che si propaga al Mediterraneo attraverso l'intervento di artisti del Mediterraneo; il libro, la pagina come contesto che in sè potrebbe contenere tutto lo spazio esterno, il rapporto dentro-fuori, le diverse sonorità del chiuso e dell'aperto, lo studio e la contemplazione. Per non parlare di ciò che il luogo stesso, con la sua storia, suggerisce: il carcere femminile sull'isolotto, i suoi fantasmi e la realtà della biblioteca che, sulla riva di fronte, è quasi un approdo. Inoltre la biblioteca oggi sorge al posto del vecchio macello comunale, pensate un pò c'era pure il sangue! Che vuoi di più? Su tutto questo il gruppo di Isole comincia a ragionare ma il percorso è e dev'essere lungo e ricco di incontri con gli altri che scelgono di divertirsi ad accompagnarci, scrivendo, partecipando ad un seminario, mandandoci materiali etc.






Christian Costa - container [Napoli]. Artista.

07 gennaio 2005

Il livello di raffinatezza/decadenza di una società si misura dalla pervasività dei suoi sistemi (auto)rappresentativi. Le arti hanno espanso le proprie competenze negli ultimi secoli, quelli del t(ri)onfo piccoloborghese (in cui ognuno DEVE avere qualcosa appeso alle pareti a rapprentarsi – tappezzeria culturale), fino a divenire sistema. Siamo immersi in un flusso costante di forme che già comprendono al loro interno ideatori e pubblico. L’arte degrada in creatività diffusa, valore aggiunto di pensiero e progetto il cui motore trainante è il denaro. La creatività come forma prima della società dello spettacolo, veicolo il più adatto per estetiche a buon mercato, per bisogni indotti, per dare senso alle vite altrui. Se la creatività occupa come un blob tutti gli spazi, l’”arte” cerca di ridare senso al proprio agire proprio attraverso una maggiore aderenza a persone e luoghi, tale da permettergli di dispiegare quello spessore, quella prondità di significato e visione che la differenzia dalla vacuità del baraccone che spesso l’accompagna, la tange, la contamina fino a portarla nel “lato oscuro” della creatività (che mi sembra termine più affine a decoupage, fascicoli settimanali, pubblicitari stressati). Tale via (solo possibile) di salvezza è il cosiddetto SITE SPECIFIC, che, come ogni parola d’ordine, nasconde un brulicante “lato oscuro” di interventi (nonostante tutto) calati dall’alto, di mostreventi organizzati nei luoghi più improbabili, di fraintendimenti a croce uncinata. Alla fine, però, le cose sono sempre più semplici di quanto non appaia. Un’opera si giudica in base al suo spessore, a quel terribile e doloroso discrimine che marchia a fuoco, che rende manifesta la vita pulsante nell’opera, che differenzia la creazione dalla creatività (fino a scolorare nella puttanata). Un’agnizione che non è unicamente alla portata dei soliti pochi.

Essenziale è l’intreccio tra il proprio universo di simboli e forme e quello che ti offre, che quasi ti richiede, il luogo prescelto (con le sue persone, parte integrante di quell’altro universo di segni nel quale, umilmente ci si debba calare). Forse il punto è proprio questo: il riuscire ad andare oltre il proprio ego per accogliere dentro di sé un luogo altro, con tutte le sue connotazioni. Nell’ambito di tutte le redefinizioni del sé e dell’identità personale/collettiva (con tutte le dinamiche annesse) che sembra caratterizzare ultimamente il mondo dell’arte, questa parziale rinuncia a sé supera di slancio l’autoreferenzialità sterile ed egocentrica di molti “artisti”. Il compito è difficile. Si tratta di creare qualcosa che sia intimamente accordato sia a sé stessi che a qualcosa di estraneo. La chiave, forse, è proprio l’umiltà, la disponibilità a mettersi in gioco, ad affontare quelle sfide che ci arricchiscono connotandoci.

[pubblicato su Rumore #157, febbraio 2005]






Christian Costa - container [Napoli]. Artista.

08 febbraio 2005

SITE SPECIFIC/2. Diventare altro da sé ed essere allo stesso tempo pienamente sé stessi. Questo vuol dire aderire ad un luogo. Se considerare e sfruttare il posto in cui si dispiega un intervento artistico rischia di divenire nient’altro che scenografia, entrare in consonanza con esso è ben altra cosa. Gli artisti, di solito, usano la propria sensibilità per assorbire, come spugne, dall’ambiente circostante, quel vissuto che poi risputano fuori in varie forme. È come il movimento del respiro, in cui l’inalazione e l’espirazione sono due parti complementari della stessa cosa. La difficoltà nell’“inspirare” sta nel “fare proprio” ciò che ci circonda, nel conoscerlo bene, razionalmente, come nel “sentirlo”, accoglierlo nella propria interiorità, ad un livello inconscio. Può trattarsi di una affascinante chiesa gotica o di un quadro in cui perdersi, di una melodia che ci prende in un concerto inatteso o degli odori di un mercato rumoroso. È l’occhio che guarda e vede (come sanno fare i viaggiatori), l’orecchio che percepisce ogni sussurro, il gusto che sperimenta nuove sensazioni (senza cercare la lasagna in Thailandia o il risotto in Patagonia) e così via…In fondo questo respirare/assorbire forme testimonia dell’apertura mentale, della disponibilità (vera) al confronto, dell’abitudine al paragone con l’altro, anche con ciò che non si apprezza. È la curiosità tollerante di chi vuole “più vita”, poiché chi si confronta con persone e luoghi diversi possiede più vite e più sé stessi in cui perdersi, e ritrovarsi, ogni volta. Lasciare il cuore in un luogo è un’immagine romantica per dire che si vorrebbe continuare ad essere quelli di Parigi, di Praga, di Tokyo, di Casalpusterlengo…Momento seguente e complementare è l’“espirazione”, la capacità di tirar fuori qualcosa di valido, che rispecchi questa nuova coscienza acquisita. Il mettersi in gioco, scavando dentro sé stessi per giungere al proprio intimo sentire, per far confrontare quella parte di noi che desideriamo stabile, che abbiamo timore che muti, i nostri modelli culturali profondi, con la nuova realtà esterna. Affrontare i propri fantasmi, il proprio io, adoperando come grimaldello il diverso reale tutt’intorno, che muta ed influenza il nostro sentire, per trasmettere/comunicare quel che abbiamo dentro. La sincerità, quella che sentiamo subito in una canzone o in un quadro o in un testo. È costituire un ponte tra materia e spirito, tra sensi e sentimenti.

[pubblicato su Rumore #159, aprile 2005]






Franco Esse [Napoli]. Artista.

10 marzo 2005

Fotomontaggi. Idee per la realizzazione del progetto.

Clicca sulle immagini per ingrandirle.






Fabrizio Ajello [Palermo]. Artista.

19 marzo 2005

Da dovunque si arrivi al paese di Isola delle Femmine si affronta lo sguardo lontano dell’Isolotto da cui questa lingua di terra prende il nome. La terra si allunga come a volere rimarginare la ferita del mare tra le terre. Quando addirittura tira vento forte le onde stendono un tappeto bianco di sale e schiuma a indicare l’attraversamento tra le correnti. Distanza - Prossimità. Nei nomi spesso si cela la storia e il senso delle cose. Non accade diversamente in questo borgo marinaro. Isola: senso della “isolitudine”, del distacco e del chiuso recinto di terre. Femmine: senso della creazione, del collegamento, del cerchio della vita, della florida rinascita. Il nome proviene da antiche leggende che attribuiscono al rudere posto sulla sommità dell’Isolotto una funzione di penitenziario per sole donne. Ma questa è solo una delle infinite storie che si sono sommate negli anni su Isola delle Femmine e il suo Isolotto. Più avanti avremo modo di condividerne alcune.

Un mio caro, che di mare ha vissuto, afferma che si possono considerare isole solo quelle che permettono agli abitanti di vedere il mare attorno da qualsiasi punto. Ovviamente la forzatura serve a portare all’estremo l’emozione dell’ “isolitudine”. Qui a Isola siamo in questa situazione. L’Isolotto infatti permette ai suoi visitatori, come un altare tra le onde, di sentirsi prigionieri dei flutti anche negli sguardi.

In questa dimensione di perenne viaggio, seppur breve, la barca assume una sterminata valenza simbolica e sacra, oltre ad un valore strettamente utilitaristico. Il vascello del sole. Prototipo dei primi uomini che credevano seriamente possibile una traversata del cielo verso l’Ultraterreno.






Christian Costa - container [Napoli]. Artista.

23 marzo 2005

Riguardo l'intervento del 1 aprile (inviato alla curatrice nei giorni precedenti):

Si tratta di una "azione" il cui risultato sarà una serie di foto (probabilmente in digitale) che ne documentino la preparazione e alcuni scatti (con il banco ottico 6x9, dunque di grande qualità) della cosa in atto.
Il concetto che si vuole rappresentare è molto semplice e (mi sembra, spero) indicativo sia delle difficoltà del progetto specifico che, in generale, di quelle della Sicilia e del Meridione in generale, dall'organizzazione di eventi culturali alla coscienza civile, dalla malavita alla necessità/desiderio di contare e di partecipare al rinnovo-sviluppo della propria regione. Che poi tutto questo si possa realizzare attraverso la partecipazione di ragazzi rende tutto questo ancora più simbolico.
L'idea è semplice: bisogna unire le energie di chi vuole fare, dei volenterosi, delle energie fresche (i ragazzi) e oneste. Nel Sud d'Italia si aspetta sempre che qualcun'altro faccia qualcosa per noi, che dal centro, da Roma, dal "Nord" arrivino soldi, lavoro, impresa, cultura, etc...questa attesa (spesso disattesa, spessissimo delusa) è come la cartina di tornasole di una passività che è funzionale allo status quo rappresentato dai potentati politico-economico-militari locali.
Noi vogliamo mostrare come non serva che una scintilla, che un piccolissimo avvio per innescare energie e dinamiche positive, operose, sia a livello pratico (il progetto stesso) che simboliche (la nostra "azione").


Praticamente la cosa è di una semplicità estrema. Il nostro unico stimolo (la "scintilla") sarà un filo di nylon. Inviteremo i ragazzi (ed, eventualmente, tutte le persone siciliane che vogliano partecipare) a reggere questo filo, formando un filo di persone, una catena. Si vuole dimostrare come basti un piccolo stimolo (che poi passa in secondo piano, quando la gente incomincia a mobilitarsi - il filo di nylon dovrebbe risultare invisibile dalla distanza di alcuni metri) a far liberare energie aggregative e a unificare le persone, anche inconsapevolmente, per la propria città, per la propria vita quotidiana, etc...
Il mio obiettivo è quello di realizzare una "foto-simbolo" che divenga un buon mezzo di promozione del progetto e di gran parte delle idee (se non addirittura di tutte) in esso contenute [...]


Per questo voglio realizzare un intervento diverso ogni volta (da ora in poi), ogni volta con tecniche diverse, sia per far vedere, a livello macroscopico, la diversità di approcci possibili (e per soddisfare le mie/nostre paturnie di espressione in più campi), che per stimolare il più ampio consenso-interesse-attenzione al progetto.
[...] Le opere (di nuovo: spero) "parlano da sole", più di tante chiacchiere e anche di argomenti, talvolta, più concreti. Questa è la maniera più forte che ho trovato per sostenere i tuoi/nostri sforzi e dare visibilità concreta/più forte al progetto tutto.


L'intervento successivo lo vorrei realizzare usando il suono (dei luoghi, di Isola, di Palermo, dei libri della biblioteca, della "lettura" del luogo, etc).

Foto realizzate il 1 aprile. Clicca sulle immagini per ingrandirle.






Christian Costa - container [Napoli]. Artista.

06 aprile 2005

SITE SPECIFIC/3. Spesso ascoltiamo in giro la lagna (peraltro fondatissima) sulla perifericità culturale italiana.Del resto la desolazione dell’offerta culturale mainstream nostrana è sotto gli occhi di tutti. Come è evidente la vivacità dell’underground, che è SEMPRE promettente, finchè non esce dall’ombra autoindulgente. Il vero snodo si trova nelle politiche culturali (nel senso più ampio possibile) che, ad esempio, traformano ogni scorreggia inglese in britpop o ogni filmaccio americano in blockbuster. Forse non tutti sanno che in Italia si spendono un sacco di soldi per la cul-tura. Peccato che non si veda. Oggi la cultura che conta è quella di CHI conta, cioè dei paesi anglosassoni, dominatori di questo momento storico (tranquilli! I nostri figli ascolteranno musica cinese, noi già ascoltiamo quella araba). Ai paesi più o meno marginali cosa resta? Almeno la dignità di valorizzare quello che abbiamo di buono. Intervenire nel/sul reale. Belle parole. Specialmente quando si scontrano con le situazioni di fatto. La cultura non è altro che una delle facce del potere, e se siamo (stati) governati da una classe dirigente attenta solo alla propria autoconservazione, le politiche culturali sono seguite pari pari. Oggi, nel 2005, interi pezzi del paese vivono in condizioni di arretratezza culturale provocata da ragioni economiche (troppi soldi o troppo pochi) e, soprattutto, di dominio politico-militare. Nel meridione prevale la logica del tutto o niente, e chi prova ad organizzare qualcosa incontra difficoltà innumerevoli, salvo poi essere avvicinato dai personaggi più inverosimili in caso di successo. L’eterno sport nazionale del saltare sul carro del vincitore. Manca la cultura dell’impresa, del rischio, in un paese in cui nessuno si fa concorrenza e prevalgono cartelli e corporazioni. Assopendo la dinamica lavorativa, tuttavia, si finiscono con l’imporre modelli culturali statici, che producono prodotti culturali compiacenti, banali, rassicuranti. E così anche tante iniziative “alternative” tendono ad arroccarsi e chiudere le porte agli altri appena sfiorano il successo. Questo modo di fare compromette la spinta propulsiva del paese (vedi l’eterna lagna sui pochi fondi alla ricerca, del resto in Italia la meritocrazia più che l’eccezione è un sogno). Intervenire in tali contesti, di conseguenza, è paradossalmente contraddittorio. È semplice poiché spesso la totale assenza di alternative culturali e di concorrenza (segnale desolante di povertà) apre tante possibilità e scatena tanti entusiasmi. D’altro canto la difficoltà nel trovare controparti attive ed efficienti (sedi, strutture, amministrazioni, sponsor, pubblico) spesso finisce con il rendere tutto assai più difficile (se non impossibile).

[pubblicato su Rumore #160, maggio 2005]






Fabrizio Ajello [Palermo]. Artista.

17 aprile 2005

Progetto di massima per l’incontro del 29 aprile con gli allievi dell’accademia

La biblioteca di Isola delle femmine coincide geograficamente con l’inizio del paese stesso. E’ il luogo di confine tra Sferracavallo e Isola. Il giorno 29 aprile dell’incontro con gli allievi dell’accademia proporrei un percorso costieo, da compiere ovviamente a piedi, lungo quella “terra di mezzo” che divide il mare dalla terra. Ogni partecipante avrà con sè una sacca, una borsa o un sacchetto, che servirà per raccogliere tutto ciò che durante il percorso colpisca la sua attenzione e tutto ciò con cui vorrà in caso lavorare in seguito. In oltre verranno distribuite delle carte geografiche della zona da percorrere, come mappe che individuano il punto di partenza e di arrivo, nelle quali i “pellegrini” potranno segnare, disegnare e appuntare ciò che riterranno opportuno Si partirà dalla scogliera della biblioteca sino al confine estremo opposto del paese di Isola, cioé dove la spiaggia segna il punto di inizio del paese di Capaci. Il nome Capaci etimologicamente proviene dal siciliano “ca paci” cioé “qua la pace”.
Quindi in sintonia con l’idea di un percorso ideale ma anche reale, dell’esperienza fisica e spirituale dell’attraversare e quindi conoscere un luogo, del confrontarsi con uno spazio di confine e di cambiamenti continui ( scogliera, battiggia, banchine del porto, spiaggia ), sarà interessante vivere ed analizzare la percezione multipla del paesaggio, si pensi alla visione continuamente differente dell’Isolotto dalla terra ferma e della conformazione del posto, l’identificazione con gli oggetti che verranno raccolti lungo il “viaggio” e l’utilizzo degli stessi, in una futura elaborazione del progetto.






Costanza Meli [Palermo]. Ideatrice e Curatrice del progetto.

22 aprile 2005

Ancora mi voglio soffermare a riflettere insieme al gruppo che mi accompagna in questa esperienza sulle evoluzioni che il tema del site specific sta accogliendo al suo interno.
Ricordo quando abbiamo cominciato, quando non avevamo che appena accennato l'esigenza di una ricerca su cui confrontarci tutti.Tutti chi? Gli artisti, naturalmente e dei curatori giovani e alle prime armi che stavano interrogandosi sulla necessità di un dialogo, di un confronto al di fuori dal significato consolidato e dunque stereotipo che tali termini posseggono già da tempo nella nostra cultura.
Da qui tutto prende movimento...proprio dal bisogno di chiarire a se stessi il contesto linguistico e, pertanto, i significati che mettiamo in campo, quotidianamente, nei nostri discorsi.
Cosa significa stereotipo? Che intendo io, oggi, per significato? A cosa faccio riferimento quando mi interrogo sulla cultura?
Si aprono improvvisamente squarci che ostacolano il nostro cammino, che ci rendono difficile comunicare con chi, insieme a noi, ha deciso di progettare, da capo, i percorsi dell'esperienza artistica.
Si chiama chiarimento preliminare e, vi assicuro, non se ne scappa facilmente.
Quando abbiamo introdotto il termine site specific, grazie al nostro grande amico curatore Francesco V., sempre aggiornato, ci siamo trovati più che mai al cospetto di un oggetto linguistico già determinato, digerito dal sistema dell'arte, anche qui utilizzo uno stereotipo, che da tempo si è consumato sotto la spinta di molteplici reinterpretazioni.
Di che si trattava? Avevamo un problema in più. Si, perchè quando si entra nel vortice del chiarimento linguistico, come dicevo, è difficile uscirne con mosse d'astuzia; non si può simulare una totale consonanza con i modelli vigenti. Ci siamo chiesti in momenti diversi e soprattutto mediante il lavoro, la creazione e il contatto continuo la realtà delle mostre che avevamo in programma, cosa comportasse la revisione e l'approfondimento dei concetti con cui ci saremmo confrontati. Site specific significa una cosa molto definita: leggere lo spazio, prima di tutto, leggere.
In tal senso abbiamo colto lo stimolo che tale concetto ci poneva, in fondo non stavamo tentando di leggere in fondo ai contenuti culturali che l'arte ci ha messo a disposizione?
Non stavamo forse cercando di capirci, di intenderci sulle parole da usare? Non avevamo scelto la ricerca tra i molteplici spazi bianchi del testo?
Bene, mi dico, ricominciamo a leggere, insieme, come si faceva una volta, quando ci si disponeva a cerchio attorno ad una favola, ad una poesia e, tutti insieme, ciascuno a suo modo, si cercava di capire.
Questo è il senso della lettura che mi piace oggi sperimentare: lì nel cerchio, ognuno troverà un proprio filo d'attenzione che si colleghi a quello degli altri e faccia nascere il senso della storia.






Vanni Quadrio [Palermo]. Artista.

23 aprile 2005

Gabbia – no

Strano luogo l’isola e strano animale il gabbiano. Entrambi contengono una contraddizione, nel nome dell’animale la prigione e la negazione di essa, gabbia-no, e l’isola, un carcere senza sbarre, "chiusa" eppure "aperta": come confini ha il mare; confini sconfinati.
Un mito indiano vuole il gabbiano padrone – custode della luce del giorno, possessore di una barca di luce che egli utilizza per il proprio diletto noncurante dell’umanità intera.
Così possiamo immaginare il gabbiano arbitro capriccioso di luce e tenebre, portatore di una dualità universale riconducibile a quella dello yin – yang, principi luminosi e oscuri, demoni ed angeli. L’opposizione luce-tenebre in esso coesistono.
L’isola nella quale egli, il gabbiano, approda dopo il volo, può, continuando il gioco di significazione della realtà in senso mitico e fantastico, rappresentare il centro spirituale primordiale, il paradiso terrestre che, peraltro, nella tradizione musulmana è situato su un’isola.
Le isole – paradiso possono essere raggiunte solo da coloro che sanno navigare o volare; i valorosi e gli immortali. L’isola, immagine del cosmo completa e perfetta, si accosta facilmente, nel nostro gioco, ad un santuario o ad un tempio, un pianeta - rifugio da conoscere e “ordinare”, un luogo per sfuggire dal caos dell’inconscio o per incontrarlo e tentare un assetto possibile di esso.
Un buon numero d'isole nel mito è abitato solo da donne; da femmine. A Sena (Sein), leggo su un dizionario dei simboli, abitavano delle sacerdotesse che predicevano l’avvenire e si trasformavano, o almeno pretendevano di farlo, in animali. Oggi i gabbiani sono gli unici abitanti dell’isolotto di Isola delle Femmine, i suoi unici cittadini. Essi sono forse le sacerdotesse di Sena che lontane dal tempo mitico non possono più essere umane e che per essere libere di andare “fuori”, sulla terra ferma, devono trasformarsi, e quindi essere imprigionate, in quello che è un chiaro simbolo di virilità? Isola delle Femmine é forse l’isola dei gabbiani? Certamente nel mio gioco essi, i gabbiani, sono dei guardiani – messaggeri, intermediari tra cielo e terra, isola e continente, simbolo di libertà per donne e uomini liberi.






Fabrizio Ajello [Palermo]. Artista.

23 aprile 2005

Immagini e schizzi dai taccuini. Idee per la realizzazione del progetto.

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Fabrizio Ajello [Palermo]. Artista.

27 aprile 2005

In risposta all'intervento di Vanni Quadrio del 23 aprile 2005

Dopo aver letto le parole di Vanni Quadrio molti pensieri si affollano dentro di me. Ma più che esternare i miei pensieri darò nota di ciò che ho letto sul testo di Angelo Arioli “Le isole mirabili”. Il passo è un estratto del capitolo Sasin e recita così:
V’è poi una meraviglia che in tutto il mondo non si trova. Sulla riva del mare ci sono alberi e talvolta gli argini vengono erosi e la pianta cade in mare. Il mare, agitato dalle onde, si ricopre d’un bianco cirro e così continuando questo lievita fino ad assumere la forma di un uovo. L’uovo, poi, si delinea in forma d’uccello di cui restano vincolate zampe e bacco. Se Iddio vuole gli dà vita, lo impiuma, e allora zampe e becco si distaccano dal legno e così diventa uccello che corre sul mare a fior d’acqua.
L’estratto mi pare ricco di magia e nessi interessanti tra i concetti fondanti delle nostre ricerche. Infatti esso cuce insieme il tema dell’Isola, del Mare, del Legno Sacro e della Barca.

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Vanni Quadrio [Palermo]. Artista.

29 aprile 2005

Disegni e schizzi. Idee per la realizzazione del progetto.

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Costanza Meli [Palermo]. Ideatrice e Curatrice del progetto.

18 maggio 2005

Riguardo l'incontro sul management culturale del 26 maggio

Si tratta di un dibattito e non di un convegno.
Ho parlato con Daniela Bigi e ci siam trovate d’accordo su alcuni punti che mi stanno a cuore.
Infatti non credo che sia minimamente utile organizzare in una realtà come quella di Isola delle Femmine un evento in stile anni 90, con tanti interventi e nomi importanti che leggono ciò che hanno relazionato.
Ciò che vi propongo è una dimensione più libera e creativa, all’interno della quale Isole e quindi tutti noi, con il nostro lavoro possiamo presentarci quale esempio e spunto da cui partire per impostare una discussione.
Si potrebbe partire dal nostro percorso di costruzione del progetto, cercando di spiegare chiaramente ciò che abbiamo fatto per mettere in piedi tutto ciò che oggi è già avviato.
L’importante è avere presente l’obiettivo di questo incontro: riflettere sulla necessità per la nostra società, soprattutto per quella meridionale, della cultura e dell’arte come stimolo per lo sviluppo e per il turismo.
Questo sicuramente è stato detto e ridetto ma noi abbiamo in più un dato importante: siamo giovani artisti e curatori che hanno scelto una strada di integrazione con il territorio d’intervento.
Questa potrebbe quindi essere non soltanto una dichiarazione di intenti ma una proposta da lanciare come modalità alternativa a quelle tradizionali percorse dall’arte che fa mostra di sé.
Sviluppo per un territorio come Isola può proprio significare scoperta di una dimensione nuova di scambio che venga offerta proprio dai soggetti che su di esso hanno scelto di attivarsi.

Per questo mi piacerebbe poter sfatare il 26 quella sorta di tabù che vieta di mettere i progetti a disposizione di chi vuole imparare a scriverli senza per questo dovere partecipare ad un master costosissimo e poco aderente alle singole realtà.
Il problema di questa società è anche che l’imprenditoria dell’arte detiene il controllo degli strumenti proprio come in una burocrazia escludendo tante possibilità che vengono dal basso e che sono a portata di tutte le individualità creative.
Cosa intendo?
Ho incontrato io stessa grandi difficoltà quando ho dovuto scrivere un progetto rivolto all’amministrazione, poi quando ho imparato a scrivere le richieste di sponsorizzazione proprio perché nessuno vuole mostrare i propri progetti, nessuno è disposto a condividere i segreti della propria esperienza nel settore.
Un po’ come gli indirizzari mail che consentono l’accesso ai canali pubblicitari e all’informazione, così anche i progetti sono un’esclusiva spesso incomunicabile.
Allora ci dobbiamo iscrivere ai corsi che ci dovrebbero insegnare le formule da utilizzare per richiedere fondi alle amministrazioni. Come ai privati o all’Europa.
Il problema è che questo sistema è una lobby, un latrocinio e una stronzata.
Abbiamo potuto noi verificare che un progetto non può essere costituito da rigidi schematismi. Una richiesta di sponsorizzazione deve sempre essere calata all’interno del contesto d’azione.
Ciò che farò personalmente il 26, per cominciare il dibattito è mettere a disposizione di tutti il nostro progetto, le nostre documentazioni in modo da consentire a chi voglia farlo di uscire dalla biblioteca con un’idea di progettazione.
Questo per me sarebbe già un enorme risultato.

Altro argomento.

I punti di vista presenti al dibattito sono molteplici: curatori, imprenditori, artisti, sponsor, amministratori, professori.
Possiamo mettere a confronto questi soggetti sulla base degli stimoli e delle provocazioni che ci vengono in mente.
Il nostro progetto è sempre una base da cui partire perché costituisce un esempio fattivo.
Possiamo evidenziare ciò che di positivo abbiamo trovato in una realtà provinciale ancora vergine rispetto al sistema dell’arte e, al contrario, possiamo parlare delle difficoltà incontrate.
Possiamo far notare come un’amministrazione nuova e appena insediata abbia voluto scommettere su di noi benché fossimo giovani e proponessimo arte contemporanea e non i soliti quadri.
Possiamo invece rilevare i problemi relativi alle sponsorizzazioni da parte delle grosse realtà come il Banco di Sicilia.
C’è infatti con noi Ornella Speciale che mi ha aiutato a scrivere la richiesta al Banco e vorrei chiederle provocatoriamente quali sono i motivi per cui il Banco ci ha scartato.
Da questo può nascere invece un discorso interessante e propositivo ovvero:

Come devono fare dei giovani per progettare eventi culturali se chi detiene il potere commerciale sul territorio sponsorizza solo i progetti che partono da 50.000 euro?

Come si può costruire una cultura dell’investimento sui giovani?
Sulle piccole associazioni?

Se i piccoli non vengono presi in considerazione come possono diventare grandi?
Da qui si torna al problema iniziale. Bisogna iscriversi ai master in management per essere inseriti nei circuiti giusti?

Noi vorremmo suggerire l’alternativa a tale mentalità.

Credo veramente che noi costituiamo una strada possibile da percorrere e mi sembra giusto suggerirla ai ragazzi che verranno ad ascoltarci così come a tutti gli interlocutori.






Vanni Quadrio [Palermo]. Artista.

20 maggio 2005

In risposta all'intervento di Fabrizio Ajello del 27 aprile 2005

Grazie Fabrizio,...come posso, però, dare corpo a questi “disegni mentali”? Il gioco di significazione diventa complicato, più complesso di quanto avessi immaginato. Come in una nota canzone degli anni ottanta “faccio cerchi con la mente” e sempre più focalizzo e capisco che quello che mi interessa è la luce, il riflesso del mondo, o contesto, sulle ali dei gabbiani in volo. Avete mai guardato il volo degli uccelli? Io si! L'ho fatto solo da poco, in occasione di questo mio lavoro. L’animale si traduce in segni, in linee, ora verticali ora orizzontali, segni decisi che si legano in modo discreto al contesto; lo sottolineano...questo è il punto di partenza del mio lavoro, la sua lettura è invece qualcosa che non posso né controllare né prevedere; è personalissima.
Il mondo significa emozioni – cose per ognuno diverse...
Per me la bellezza non può essere letta che in presenza del suo opposto, la bruttezza. La perfezione è la morte di qualsiasi azione generativa, ecco perché un animale bellissimo come il gabbiano si nutre di spazzatura, di bruttezza, appunto, e perché sulla mitica isola, rinomato parco naturale, oltre ai gabbiani vivono i ratti...






Francesco Ventrella [Roma]. Curatore e critico.

23 maggio 2005

In risposta agli interventi di Costanza Meli

Cara Costanza,

il tuo punto di partenza mi sembra pienamente condivisibile, tanto più alla luce di qualcosa che la cultura continua a promuovere senza mettere in atto: il pluralismo.

Le culture, lungo la linea della storia, non sono mai state univoche, ma forse dei cori complicati ed eterogenei, con molte voci stonate, per fortuna. Oggi, che questa coscienza storica si perde, paradossalmente mentre aumentano gli studi a livello micro - contestuale, la cultura globale gestisce, seguendo le proprie dimensioni, le "spinte" periferiche. Già questa descrizione pianeta-satellite svela quanto il rapporto centro-periferia (di marxiana memoria critica) sia inteso come una dipendenza, invece che un rizoma.

La retorica che il sistema dell'arte ha costruito per continuare a riprodursi per partenogenesi svela diverse incongruenze. Rispetto all'arte che interviene nei contesti (Arte pubblica, Community Art, Site-specific...) il rischio che in questi anni si sta correndo è molto forte. L'omologazione dei progetti degli artisti in giro per il mondo delle "urban emergencies" parla inglese, o meglio una fiche comunicativa che si serve della grammatica inglese per costruire dei sistemi che veicolano comunicazione senza per questo introdurre senso. Miwon Kwon nel saggio "One Place after Another. Site Specific Art and Locational Identity" sottolinea come molto spesso le esigenze dell'agenda dell'artista non hanno nulla a che fare con quelle della comunità. E che il tutto si risolve nella routine del sistema dell'arte, senza che ci sia un reale riconoscimento dell'azione artistica. Ma se manca il riconoscimento, come avviene il dialogo?

Nello specifico europeo, l'arte pubblica (la uso come sineddoche, ora) ha subito l' "informazione" retorica derivata dalle pratiche di finanziamento della EU. Per esempio, l'application di cultura 2000 contempla delle voci che hanno portato ad una parossistica, forzata e innaturale collaborazione tra paesi e regioni differenti messi in gioco solo perché rientravano nelle regioni a maggiore finanziamento. A livello retorico e di produzione di senso, tutto si è appiattito nei topoi del glocal, borders, devices, translation, utopia, transborder, urban context, emergency, urgency, immaginary, common place e bla bla bla. Queste ed un'altra cinquantina di parole, forse, compongono il ristrettissimo vocabolario della politica culturale (o management culturale) promossa in Europa. Un gruppo di artisti chiamato Gruppo Darth ha iniziato una ricerca a riguardo, presentando i primi risultati a NEONcampobase a Bologna, in una tavola rotonda organizzata ad aprile scorso:

"Oggi però ... la cultura pare uscita dalla vita, per cui la politica culturale rimane spesso pura forma svuotata dai contenuti che non lascia il segno. Essa si è vaporizzata in una miriade di piccoli eventi che se fosse direttamente proporzionale alla varietà delle modalità espressive, sarebbe un interessante bacino, ma in realtà queste sono spesso clonate. ... Tuttavia l'utilizzo del già noto, non è sempre innovativo. Soprattutto quando questo non è collegato alla volontà di chi crea, bensì di chi organizza" e deve fare tornare tutti i conti, affinché possa recuperare ulteriori finanziamenti in futuro.

Autonomia dell'arte? E' rimasta sui manuali di storia....

E' molto bello ciò che state facendo e il "gesto" che farai alla tavola rotonda di fornire tutte le info, come un open source, mi sembra grandioso e importante. Bisognerebbe attuare una comunicazione più allargata, fare un video, documentare questa risposta italiana locale alle pressioni degli imperi effimeri (comunicazione, new economy, fictions...) seguiti alla caduta dell'Impero.

Buon lavoro!