Bibliografia ragionata
Chiunque voglia proporre un testo può mandare una email a: press@containerart.it.





. Sezione management artistico



Laura Granatella,
Il management Artistico. Strategia e cultura dello spettacolo
UTET, Torino 2002.

Il manager artistico deve coniugare lo scambio tra economia e politica scambio a cui è affidato il compito di sollecitare gli imprenditori ad investire nella qualificazione dell’offerta culturale, partendo dal dato oggettivo che le potenzialità dei beni e delle attività artistiche italiane sono veramente singolari e non paragonabili a quelli di nessun altro paese al mondo.
Si tratta di inaugurare una pedagogia volta a produrre spettacoli per una cultura da conservare,tramandare, rinnovare nei suoi valori più reconditi di storia eppure sempre ricchi di moderna civiltà.
Quando parliamo dell’Italia come capitale culturale non ci riferiamo soltanto al patrimonio storico artistico, ma alle straordinarie componenti di capitale umano delle organizzazioni e imprese che si adoperano per dar vita ad uno stile unico, preciso.
Oltre agli enti – comuni – associazioni pubbliche anche il settore privato è ormai giunto ad occuparsi di valorizzare e promuovere con convinzione ciò che ci appartiene.
Rispetto al settore pubblico, le imprese private sono più motivate a sperimentare nuove forme espressive e a sviluppare progetti legati al mondo contemporaneo. Inoltre gli investimenti nella cultura rappresentano anche un modo per uno sgravio fiscale piuttosto congruo.
Poiché ci troviamo di fronte ad un patrimonio artistico non solo molto ampio ma anche eterogeneo, è necessario sottolineare che non basta tutelarlo; serve invece, anche, gestirlo e valorizzarlo, riuscendo così a promuovere sviluppo e occupazione…
… La moltiplicazione dell’accesso alla cultura è tra i principali obiettivi che privati ed enti pubblici devono perseguire.





. Sezione critica



Cesare Pietroiusti,
intervista
www.tusciaelecta.it/itapietroiusti.htm

Nel mio lavoro, almeno a partire da Visite, del 1991 (portare il pubblico di una mostra all’interno di appartamenti privati nello stesso edificio della galleria), ho sempre dato più importanza al processo, e al dato esperienziale, che al prodotto. Entrare in relazione con altri, partecipare a qualche tipo di dinamiche di gruppo, mi è sempre riuscito più facile e più gradevole, che realizzare oggetti scambiabili in un contesto di gallerie, musei, luoghi deputati. Del resto, il mio bagaglio culturale è costituito molto di più dalla psicologia e dalla sociologia che dalle “belle arti”. Così, ogni volta che qualcuno mi propone di realizzare un nuovo progetto per una mostra (o qualsiasi altro contesto), non posso fare a meno di un lavoro di “studio” preliminare, la ricerca – comunque più intuitiva, che scientifica – di un punto di accordo fra il luogo, le persone coinvolte, e me stesso. Quel punto di accordo è sempre un processo che, per funzionare, deve essere divertente ma anche critico, semplice ma anche sottilmente decostruttivo (rispetto a certezze, aspettative, abitudini mentali).
A metà degli anni ’90 la lettura del libro di Suzanne Lacy, Mapping the Terrain – A New Genre of Public Art, mi fece capire quanto il tentativo di superare, nella cosiddetta arte pubblica, la dimensione del monumento o dell’arredo urbano, fosse già articolato, strutturato – fosse già un “genere” insomma, con tutti i rischi che questo comporta. Il rischio principale che io vedo, nell’arte pubblica di orientamento sociologico, è l’istituzionalizzazione, l’accontentarsi della “buona” azione, il fermarsi su una “giusta”causa, senza far emergere contraddizioni e lati oscuri, che sono anche (forse sopratutto) là dove ci si crede buoni e giusti. Il mettere in atto, ancora una volta, una scissione fra le parti buone e quelle cattive di sé: l’artista che fa arte “pubblica”, “sociale”, progetti comunitari ecc., per questo solo fatto, si crede buono, e la mostra in galleria diventa cattiva. In arte, quello che mi interessa non è la giusta causa, ma l’idea critica, la capacità di far nascere dubbi, domande che mi, che ci pertengono, magari a partire da questioni molto piccole, di realtà infra-ordinaria, per dirla à la Perec.





. Sezione mare – isola



Maria Savi – Lopez,
Leggende del mare
Sellerio Editore, Palermo 1995.


Non solo gli oceani ed i mari, le onde, la marea ed il fondo del mare ebbero ed hanno ancora le loro leggende. Anche gli scogli, le spiagge, le dune, i banchi di sabbia, le isole, i capi, i massi di ghiaccio galleggianti, i pesci, gli uccelli marini, i venti, la nebbia, le tempeste, la fosforescenza del mare, le conchiglie vengono ricordati nei racconti leggendarii; e sia che la voce del popolo dica strane favole intorno al mare, odiato dai popoli che credevano le sue tempeste esempio di malvagità, e fugivano lungi dalle sue sponde, adorato da altri come creatore degli dei e degli uomini, amato con passione ardente da grandi poeti, ha sempre costretto e costringe l’uomo a sognare, a meditare innanzi alla sua immensità; ed ora, mentre il popolo dimentica lentamente tanti poetici racconti dei padri suoi, esso può, come le cime superbe dei monti, avere sempre facoltà di commuovere fortemente l’animo di chi, guardandolo, ascolta estatico la sua gran voce, che ricorda all’anima la potenza infinita, la forza, la gloria di Dio.

… La vigilia dell’Ascensione i contadini di Sicilia vanno sulla spiaggia, s’inginocchiano e recitano la preghiera seguente, ogni volta che il mare manda un’onda cessano di cantare. Essi dicono:

Ti saluto fonti di mari.
Cca ni manna lu Signori;
Tu m’ha dari lu to beni
Io ti lassu lu me’ mali.

Ogni volta che ripetono queste parole raccolgono un pugno di sabbia e quando tornano nei villaggi la gettano sui tetti di coloro che allevano bachi da seta, dicendo: “sette liviri a cannizza.”





Angelo Arioli,
Le isole mirabili, periplo arabo medievale
Einaudi, Torino 1989.

Verso L’isola delle Donne

… Il vento prese a calare, il mare si calmò e infine il vento fu docile del tutto. Sul far dell’alba si avvicinarono all’isola che ora con il cielo sereno potevano vedere. Scelsero un approdo riparato, sesero e si gettarono sulla sabbia, rotolandosi sulla tanto sospirata terra. Nessuno era rimasto sulla nave.
Mentre se ne stavano così ecco giungere dall’interno dell’isola una quantità sterminata di donne che solo l’Altissimo avrebbe potuto enumerare. Su ciascuno di loro se n’avventarono mille e più e subito li portarono sui monti obbligandoli a godere di sé, senza smettere, contendendosi ogni uomo che si strappavano.
E gli uomini, spossati, morivano uno ad uno…

L’Isola delle Donne

Si trova nel mare di Cina. Qui ci sono donne assolutamente senza uomini: rese pregne dal vento partoriscono donne simili a loro. Si dice anche che siano fecondate dal frutto d’un albero che si trova colà, mangiando il quale s’incingono e partoriscono donne.
Un mercante portato dal vento a quest’isola racconta: - Ho visto donne senza neanche un uomo, e oro sull’isola a profusione com efosse terra; verghe d’oro ho visto simili al bambù. Volevano uccidermi, ma una di loro si prese cura di me e caricatomi su una zattera mi affidò al mare. Il vento mi potrò in terra di Cina e là al sovrano diedei conto dell’isola e dell’oro che c’era. Subito, per averne notizie, organizzò una spedizione. Tre anni viaggiarono, non trovarono l’isola e fecero ritorno.





Sicilia
Touring Editore-Repubblica, Roma 2005
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ISOLA DELLE FEMMINE. A km 14.4 una deviazione a d. conduce a Isola delle Femmine m 7, ab. 6465, centro turistico e balneare con un’ampia spiaggia adiacente a quella di Capaci. Le barche dei pescatori nel piccolo porto testimoniano l’origine marinara del borgo. Il suo nome ha una derivazione incerta, forse punica o araba («fim» = imboccatura), mutuato dalla rocciosa isoletta distante 600 m dalla punta del Passaggio. L’isola, disabitata, è sormontata da una torre quadrata della fine del sec. XVI, a cui corrisponde di fronte, sulla terraferma, un’altra circondata da villette: entrambe sono in rovina. L’isola dal 1997 è una Riserva naturale, istituita a tutela dei numerosi volatili che vi fanno tappa e delle variegate specie vegetali preseti. Dalla piazzetta del paese, riparata dal mare, su cui si affaccia la parrocchiale S. Maria delle Grazie (sec. XVIII), si percorre l’asse principale di via Roma che riconduce alla statale. Dopo aver superato un grosso cementificio, i cui effetti sono visibili sulla vicina montagna sezionata dalla cava di roccia calcarea, s attraversa , km 17.8, Capaci m 51, ab. 10 242, diventato tristemente famoso per l’attentato mafioso che costò la vita al giudice Giovanni Falcone il 23 maggio 1992. Il centro agricolo ha l’asse principale che corrisponde alla statale, su cui si volge, preceduta da due rampe di scale, la facciata tardo barocca della chiesa Madre (1741), dedicata a S. Erasmo. Km 19 deviazione a sin. (km 6.6) per Torretta m 325, ab. 3633, centro agricolo a mezza costa lungo la strada che conduce da Palermo a Carini: l’insediamento risale alla metà del sec. XVII.

Ci si arriva salendo la valle del torrente dello stesso nome tra uliveti e villette, ai piedi del versante orientale del M. Colombrina, rilievo isolato dove si trova la grotta di «Za Minica», con incisioni di animali, che ha fornito resti di fauna tropicale e oggetti litici risalenti al Paleolitico superiore. La presenza dell’uomo in quel periodo e nei millenni a noi più vicini è attestata anche in altre grotte dei monti che cingono la piana di Carini.